CARASSALE U. : La responsabilita’ di Medici ed Enti: un momento di sintesi con l’invito ad altre riflessioni – Phisicians and Hospital Liability; a synthesis and a spur to further considerations.

CARASSALE U. (*):

 

La responsabilita’ di Medici ed Enti:

un momento di sintesi con l’invito ad altre riflessioni

Relazione alle VI Giornate Di Studio GISDI: “La medicina del piacere: tra  benessere e danno alla persona” . Sestri Levante (GE) 27 – 29 Ottobre 2011

 

(*) Avvocato – Attorney-At-Law. Studio Avvocati Carassale, Cocchi e Quaglia, Genova.

Corrisponding Author: Avv. Ugo Carassale, segreteria@ccq-avvocati.it

 

Riassunto:

La responsabilità dei Medici e delle Aziende Sanitarie è esaminata dal punto di vista del Diritto Civile, considerando la sua evoluzione nel tempo (dal torto al contratto, sino al contatto sociale) e le conseguenze procedurali relative: l’ onere della prova, che è passato dal Paziente al Prestatore d’ Opera, la causalità, con particolare attenzione a quella omissiva, i riflessi assicurativi.

Abstract:

Phisicians and Hospital Liability; a synthesis and a spur to further considerations.

The Italian Jurisprudence on Medical and Hospital Liability has changed during the last twenty years (from tort to contract, from contract to contact – the unwritten relationship arising between a Patient and a Doctor when the Patient walks in the Doctor’s office or the Hospital ). Related jurisprudence has changed regarding the burden of evidence and causality; this reflects on Insurance Companies and Policies.

1.L’inquadramento normativo e sociologico

E’ comunemente accettato che nel pensiero giuridico moderno si sono allineate due impostazioni, sostanzialmente contrapposte: due differenziate visioni filosofiche del sistema.

Una concezione c.d. Normativa ( che ha in Kelsen il suo maggior sostenitore) che configura il diritto come un complesso di norme valide ed efficaci, gerarchicamente organizzate, che trovano la propria legittimazione da una fonte di rango superiore, sino a pervenire alla regola fondamentale che giustifica l’intero ordinamento.

Si tratta di regole “di carta”, giustificate “dal solo dover essere”: è l’ordinamento stesso che le pone e le impone come norme generali, ovvero come norme individuali, che devono essere rispettate, perché è così l’ordine che deve essere osservato.

A tale concezione si è contrapposto un articolato pensiero che origina le proprie radici non dall’astrattezza, ma dalla concreta visione della realtà sociale. Le regole di diritto, regole reali, non regole di carta, descrivono l’effettivo comportamento umano, fronteggiano quelle che sono le esigenze della vita sociale.

In quest’ottica la forza vincolante della norma deve necessariamente essere flessibile e mutevole poiché l’attività di chi applica ed interpreta deve avere un carattere molto costruttivo.

Cotali concezioni hanno dato corpo anche alle vicende che oggi ci interessano nell’ambito delle quali si è assistito al passaggio da una concezione del diritto normativa ad altra concezione di natura sociologica; pur utilizzando le stesse regole, ciò che è cambiato è la sensibilità sociale, ossia la ratio decidendi.

E’ mutato l’atteggiamento della giurisprudenza nei confronti del soggetto che si trova in una situazione di bisogno, ed ha così creato un sottosistema di regole, di produzione giurisprudenziale, che si discosta dalla regola positiva.

 

  1. Inquadramento storico

2.1. Dal torto al contratto.

Secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico positivo il rapporto obbligatorio è un legame che collega alcuni soggetti, un vincolo in forza del quale un soggetto è tenuto ad un determinato comportamento verso l’altro.

Normativamente la fonte delle obbligazioni è disciplinata dall’art. 1173 del Codice Civile a tenore del quale “le obbligazioni derivano da contratto o da fatto illecito, o da ogni altro fatto o atto idoneo a produrle”.

Quindi, le obbligazioni nascono o da una regolazione pattizia o da un fatto illecito.

Nel primo caso i soggetti del rapporto si legano volontariamente.

Nel secondo caso, un fatto doloso o colposo crea il vincolo ed obbliga ad una prestazione che, di regola, è una riparazione.

In altre parole, il vincolo contrattuale non richiede un presupposto, che, per contro, è indefettibile nel fatto illecito.

Dispone, infatti, l’art. 2043 c.c. che è il fatto doloso o colposo che genera l’obbligazione risarcitoria. Pertanto, secondo la regola base del rapporto processuale, art. 2697 c.c., è il soggetto che richiede una riparazione che deve dimostrare: il fatto doloso o colposo; il danno ingiusto e il rapporto causale.

Nell’esame della contrattualistica del codice civile le arti liberali non trovano la loro collocazione nel libro delle obbligazioni, ma nel libro V, rubricato “del lavoro”.

I profili di responsabilità erano disciplinati dall’art. 2236 c.c., norma oggi pressoché totalmente dimenticata dalla giurisprudenza nella creazione del sottosistema di principi che governa la responsabilità di medici ed Enti.

Cotale norma, in via di sostanziale desuetudine, dispone che “ se la prestazione implica la risoluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave”.

Quindi, sostanzialmente, nella previsione legislativa del codice (promulgato nel 1942) gravava sul paziente di una struttura sanitaria l’onere di dimostrare gli elementi costitutivi della propria domanda.

La giurisprudenza ha, però, valutato di dover intervenire autoritativamente su tale impianto normativo, che ha ritenuto non più giustificato dall’evolversi dei tempi, e, non potendo intervenire sulle regole sostanziali, è intervenuta sul supporto processuale e, in particolare, sul carico degli oneri probatori, vale a dire sulla individuazione del soggetto che deve provare: infatti è notorio che la sussistenza di un onere probatorio in capo ad un soggetto è sinonimo di rischio processuale.

Chi non prova, perde!

Nella concretezza, se il paziente leso nella sua integrità fisico psichica non dimostrava che una determinata lesione gli era stata recata con colpa era soccombente nella controversia.

Ed ancora: se la prestazione implicava la risoluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà si imponeva la prova della sussistenza di una colpa grave.

Tale sistema, basato sulla prova della colpa, è un sistema fondato sul torto: è una costruzione giuridica molto vicina al mondo anglosassone.

2.2. Il vincolo contrattuale

La giurisprudenza, con una serie progressiva di decisioni, ha capovolto il termine generale della problematica inquadrando il rapporto ospedaliero (medico/paziente) nell’ambito del contratto e dando così corpo al citato “sottosistema di responsabilità” fondato sul contatto.

Detto inquadramento presuppone che la regola base non sia più l’art. 2043 c.c. (regola generale dei fatti illeciti), ma l’art. 1218 c.c., regola generale delle obbligazioni contrattuali.

Quest’ultima dispone: “il debitore che  non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.

La costruzione giuridica della responsabilità non è più vista come essenziale della colpa; al contrario, esiste certamente responsabilità, cioè obbligo di riparazione, anche per un danno anonimo; per una infezione ospedaliera, di assai incerta genesi; per disorganizzazione… ed infine anche per errore medico.

Il fondamento della nuova disciplina è, quindi, affidato al mero inadempimento; ovvero all’inesatto adempimento e qualsiasi conseguenza negativa per il paziente resta a carico della struttura ospedaliera.

Cotale impostazione giurisprudenziale pare non considerare quanto disposto dal secondo comma dell’art. 111 della Costituzione, che dovrebbe essere regola di portata generale, cioè valida in ogni aspetto della giurisdizione: afferma infatti che “ogni processo si svolge nel contradditorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un Giudice terzo ed imparziale”.

Senonchè, capovolgendo in larga misura le regole fissate dal Legislatore del 1942 e ponendo ogni onere probatorio a carico di una parte, è il Giudice, non il Legislatore che aveva disciplinato la materia con l’art. 2236 c.c., che stabilisce a priori chi sia il soggetto potenzialmente soccombente: di conseguenza, si può affermare con certezza che è pur sempre rispettato l’art. 111 della Costituzione, 2° comma?

Qualche dubbio è più che evidente.

Certamente, così operando, la giurisprudenza pone a carico del medico e degli Enti la inefficienza dello stato sociale, sul presupposto che il medesimo sia in grado di meglio gestire, preventivamente, il rischio insito nella sua professione.

2.3. Dal contratto al contatto sociale

Realizzato il percorso accreditante l’inquadramento contrattuale del rapporto, in riferimento alla responsabilità della struttura ospedaliera, la Suprema Corte, con la decisione n. 589/1999, ha esteso cotale sistema anche al singolo medico.

Questi sarebbe vincolato al paziente (che spesso vede per pochi secondi) da un legame di natura contrattuale, ma da mero contatto sociale.

La motivazione giuridica sottesa alla decisione viene dai Supremi Giudici “suggerita dall’ipotesi, legislativamente prevista, di efficacia di taluni contratti nulli, ma allargata altresì a comprendere i casi di rapporti che nella previsione legale sono di origine contrattuale e, tuttavia, in concreto vengono costituiti senza una base negoziale e talvolta grazie  al semplice contatto sociale; si fa riferimento, in questi casi, al rapporto contrattuale di fatto o da contatto sociale”.

La pur confermata assenza di un contratto, e quindi di un obbligo di prestazione in capo al sanitario dipendente nei confronti del paziente, non è in grado di neutralizzare la professionalità (secondo determinati standard accertati dall’ordinamento su quel soggetto), che qualifica ab origine l’opera di quest’ultimo, e che si traduce in obblighi di comportamento nei confronti di chi su tale professionalità ha fatto affidamento, entrando “in contatto” con lui.

Che poi, come enunciato dalla Corte di Appello di Venezia il paziente confidi non sul medico, che nemmeno conosce, ma sulla struttura che può essere considerata “eccellente”, è problema che i Supremi Giudici neppure ritengono di dover considerare, e men che meno risolvere.

In conseguenza di tutto quando sopra esposto, sia la struttura ospedaliera, sia il medico strutturato nella medesima nel quale confiderebbe il paziente, sono vincolati alla prestazione richiesta secondo le regole fondamentali (contrattuali) contenute nell’art. 1218 c.c.

Pertanto, visto detto regime contrattuale, l’onere probatorio (sinonimo, come detto, di rischio processuale) viene a gravare sull’Ente Ospedaliero e/o sul medico.

Indipendentemente da tale orientamento giurisprudenziale, le norme sulla diligenza (ex art. 1176) restano invariate; il concetto di diligenza, previsto in tutti i tipi di obbligazioni, è unitario.

  1. L’onere e la vicinanza della prova.

In tema di onere della prova, decisiva è stata l’ormai cristallizzata Sentenza della Cassazione n. 13533/2001 la quale avrebbe posto fine ad un asserito conflitto interpretativo.

Infatti, un orientamento, presumibilmente maggioritario, riteneva che, in tema di richiesta processuale di adempimento contrattuale, il creditore potesse limitarsi a fornire la prova del proprio diritto di credito; altro orientamento, presumibilmente minoritario, in tema di richiesta processuale non di adempimento, ma di risoluzione (scioglimento) del contratto e risarcimento del danno, affermava che fosse il soggetto richiedente a dover dimostrare l’inadempimento.

Intendendo offrire all’interprete identica soluzione processuale, e così eliminare l’indiscutibile conflitto, e quindi ridurre ad unità il regime probatorio, la Suprema Corte ha ritenuto di dover enunciare il seguente principio: “in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’inadempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dall’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento”.

La ratio del sistema è stata ritrovata nel principio processualistico della vicinanza della prova, nel senso che il soggetto che deve dimostrare di aver adempiuto ha molte più possibilità di quante ne abbia l’antagonista di dimostrare il contrario.

Dopo l’enunciazione di cotale arresto giurisprudenziale, al quale ha dato immediata adesione il Giudice di merito, il principio processuale della vicinanza della prova è diventato la regola generale che, di fatto, ha vaporizzato l’art. 2697 c.c., superandone il dato testuale.

Cotale principio ha, quindi, ricevuto specifico accreditamento in materia di responsabilità di medici ed Enti con le decisioni n 4400/2004 e 11488/2004.

 

  1. Gli oneri probatori e la causalità omissiva

 

Attesa, quindi, la nuova concezione circa gli oneri probatori, oggi il dibattito è in ordine alla ricostruzione del nesso causale nell’ipotesi omissiva (mancata diagnosi, mancata terapia, mancato intervento) e nell’ambito delle due giurisdizioni, penale e civile, le quali operano su piani diversi.

Infatti, in sede penale, nell’accertamento del rapporto di causalità con riguardo ai reati omissivi impropri, devono essere applicati i seguenti principi:

  1. a) il nesso causale può essere ravvisato quando si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell’evento hinc et nunc, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato, ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva;
  2. b) non è consentita automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale poiché il giudice deve verificare la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, così che, all’esito del ragionamento probatorio che abbia, altresì, escluso l’interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”;
  3. c) l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale comportano la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio del giudizio.

Alla Corte di Cassazione, infine, quale giudice di legittimità, è assegnato

il compito di controllare la razionalità delle argomentazioni giustificative inerenti ai dati empirici assunti dal giudice di merito come elementi di prova, alle inferenze formulate in base a essi e ai criteri che sostengono le conclusioni.

Palese, quindi, che nel processo penale si richiede la certezza processuale, vale a dire la prova del nesso “al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Nell’ambito civilistico, invece, il percorso è tutto diverso.

Nel sistema della responsabilità civile, la causalità assolve, alla duplice finalità di fungere da criterio di imputazione del fatto illecito e di regola operativa per il successivo accertamento dell’entità delle conseguenze pregiudizievoli del fatto che si traducono in danno risarcibile.

Il nesso causale diviene la misura della relazione probabilistica concreta (e svincolata da ogni riferimento soggettivo) tra comportamento e fatto dannoso da ricostruirsi anche sulla base dello scopo della norma violata, mentre tutto ciò che attiene alla sfera di avvedutezza comportamentale andrà più propriamente ad iscriversi entro l’orbita soggettiva dell’illecito.

In definitiva, quindi, la causalità civile ubbidisce alla logica del “più probabile che non”.

Di conseguenza, se è più probabile che non che il collegamento esista, piuttosto che non sussista, allora, in tale ipotesi, deve riconoscersi il collegamento causale tra l’omissione ed il danno.

  1. Obbligazione ad alta vincolatività

Nel sistema imposto dalla giurisprudenza con i principi or ora richiamati, anche l’antica ripartizione delle obbligazioni, di mezzo o di risultati, è stata totalmente superata ed abbandonata nella nuova concezione di obbligazioni di diligenza.

Ciò ha, quindi, consentito di vedere superate ormai risalenti concezioni di obbligazioni ad alta vincolatività che, per qualche tempo, hanno gravato, con particolare significato, alcuni professionisti, ad esempio odontoiatri, implantoghi, che per la natura propria della loro attività dovevano vincolativamente seguire un percorso preciso e realizzare il risultato atteso.

Nel nuovo concetto di obbligazione di diligenza è quindi richiesta a tutti una uniformità di condotta. Vale a dire di conformarsi a quelle regole tecniche ed ai consueti protocolli che emergono dagli studi più avanzati; dal consensus conference e/o da atti di indennizzo generale.

Se quindi nella posizione odontoiatrica non si rimarca più una diversificata obbligazione ad alta vincolatività, che oggi pare generalizzata nel generale dovere di alta diligenza, una variegata posizione può ancora gravare nel pericolo di essere coinvolti nella filiera di responsabilità da prodotti difettosi di cui alle norme poste a tutela del consumatore: v. artt. 114, 127 codice del consumo, ed in particolare l’art. 131 che prevede una responsabilità solidale di tutta la filiera, con azioni di regresso interno in relazione alla gravità delle singole colpe;

testualmente, il 2° comma di cotale norma specifica che “colui che ha risarcito il danno ha regresso contro gli altri nella misura determinata dalle dimensioni del rischio riferibile a ciascuno, dalla gravità delle eventuali colpe e dalla entità delle conseguenze che ne sono derivate. Nel dubbio la ripartizioni avviene in parti uguali”.

  1. Cautele pratiche

Infine, anche alla luce di quanto sopra argomentato, si enucleano una serie di semplici “consigli” che si ritiene possano essere utili e, parimenti, servire ad evitare la consueta decisione del Giudicante che, come detto, in mancanza di prova si traduce, spesso, nella grezza formula “il paziente ha sempre ragione”:

– concordare espressamente il lavoro da svolgere con documentazione scritta;

– effettuare un preventivo di spesa che indichi il limite del contratto;

– raccogliere in documentazione scritta l’informazione ed il consenso evitando il richiamo a formulazioni generiche come: “il paziente è stato informato”.

Tutto ciò in quanto, finché il medico si trova dalla parte dominante, e cioè prima di rendere la prestazione, deve adoperarsi al fine di precostituire la prova dell’ampiezza del contratto, dell’accordo del paziente, dell’informazione data e del consenso ricevuto.

  1. Impatti assicurativi.

Come è ormai percepito da tutti, il sistema imposto dalla giurisprudenza con i tre pilastri sopra ricordati (natura contrattuale dell’obbligazione; onere probatorio a carico del soggetto vicino alla prova; causalità materiale regolata dal più probabile che non) ha ampliato a dismisura l’area della responsabilità e del danno risarcibile.

Ciò ha provocato un pesante carico di costi sul mercato assicurativo che si è trovato non preparato ed in grave difficoltà economica.

Non solo, con una giurisprudenza molto sfumata la Suprema Corte, traendo l’occasione in materia di epatopatie post trasfusionali, ha dilatato i termini di prescrizione, rimettendo in discussione vicende antiche, che sembravano ormai sopite.

Il pericolo che tale orientamento dilaghi è evidente.

Nel mentre i Giudici non si accorgono del dissesto che il loro sistema sta recando, anche con la generalizzazione del sistema liquidativo adottato dall’Osservatorio milanese, nella monetizzazione del danno, anche in sedi ove le vicende economiche risultano largamente diverse, il legislatore, con la consueta lentezza, cerca di porre mano al sistema con progetti di interventi legislativi che non hanno approdato a nulla (c.d. progetto Tomassini e progetto Unificato) e che, codificando quanto deciso dai Giudici, dimostrano che nessuno oggi è seriamente convinto della bontà e della legittimità del sistema.

Negli effetti, mentre i costi assicurativi aumentavano ed i contratti si convertivano da polizza c.d. loss a polizza c.d. claims, con consegeuenze perniciose, il legislatore da un lato cercava di introdurre l’obbligo assicurativo per tutti e per tutto; dall’altro, però, iniziava a consentire l’autonomia assicurativa. Vero è che alcune Regioni (Toscana, Liguria ….) hanno oggi abbandonato ogni forma di copertura assicurativa che, peraltro, è stata rifiutata da tutti i primari assicuratori italiani.

A tale, infelice, situazione si è anche affiancata la legge finanziaria dell’anno 2007 che, a decorrere dal giugno 2008, ha colpito con nullità tutti i contratti stipulati da enti pubblici (e quindi anche da Aziende Ospedaliere) a copertura della R.C. dei dipendenti nella parte in cui possono essere colpiti della rivalsa per colpa grave nella loro condotta, produttiva di danno.

Tutto ciò, quindi, conduce ad una evidente inquietudine perché il medico, un tempo oggetto di attenzione e di riguardo nella tutela delle arti liberali, oggi viene inteso come “ambita preda risarcitoria” (l’espressione è tratta dalla sentenza della Suprema Corte n. 21619/07) che deve sopportare, oltre al resto, anche il rischio di una rivalsa erariale per danno da colpa grave che, prima dell’intuizione dell’accreditamento della responsabilità contrattuale, era la regola interpretativa concretamente ritenuta dalla giurisprudenza: in materia di tutela della salute ogni risultato negativo derivava da colpa grave ….

* * * *

Sintetizzando il “dramma” di chi esercita una professione a rischio, perché la categoria, in senso collettivo, non manifesta la propria inquietudine?

Nel dettato costituzionale la tutela della salute, in tutti i suoi aspetti compresa la tutela dei sanitari, ha meno dignità della giurisdizione?

E’ poi normale che la giurisdizione complessivamente impieghi più di 27 anni per porre fine alla controversia conclusa con il principio del “più probabile che non” (sentenza n. 21619/07), valutando in cotale spropositato arco di tempo, con decisioni tutte diverse l’una dall’altra, quello che un povero medico aveva potuto fare nell’ambito di una fugace visita di pronto soccorso?

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DEL TESTO INTEGRALE (IN ITALIANO)

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